A chi è capitato nella vita di trovarsi al cospetto di Dio, quando
nella Sua Magnificenza sosta radioso sull’altare, osservando anime
inginocchiate pronte ad adorarLo, saprà quanta Grazia, che fasci di
luce, che momenti soavi promanano dall’Ostensorio, alla presenza di
Maria Santissima, Suo perpetuo grembo e permanente residenza, e alla
presenza degli angeli e dei santi che gli fanno corona tutt’intorno,
cantando unanimi lodi infinite al miracolo di Dio fatto Uomo in poca
vilissima materia: Lì c’è Dio.
Sappi che il tempo impiegato davanti al Santissimo, è il tempo che
più ti frutterà in questa vita, in morte e nell’eternità (Sant’Alfonso Maria de Liguori).
Rimanendo in stato di concentrazione, cosa che lo stare in ginocchio
agevola, potrebbe stare ore ed ore a domandarsi come possa essere che un
Dio, Creatore del cielo e della terra, che permea incessantemente tutte le
cose e tutte le creature col soffio del Suo Santo Spirito, lasciando ovunque
nel creato attestati d’amore, possa risiedere, consistere e ridursi alle
dimensioni di un’Ostia.
Un Dio così grande, contenuto nel minuscolo spazio di un’Ostia! E via via
che la domanda insinuandosi dalla mente in tutte le fibre dell’anima e del
corpo, si fa più insistente, pur permanendo nel mistero, diventa sempre
più retorica. Eh, sì: Dio è proprio lì. Il Paradiso in terra.
Allora
verrebbe quasi la voglia di piangere di stupore, pensando al motivo per
cui Dio si è fatto così piccolo; perché abbia voluto rendersi
permanentemente raggiungibile all’incontro con la Sua creatura.
Quale
pazienza e illimitato annichilimento Lo porta a desiderare di restare
imprigionato giorni e notti, nell’attesa di essere sprigionano dal
Tabernacolo, per imprigionarsi nello sguardo della creatura amante e
dentro il suo corpo, dove ambisce di trovare, non mani che Lo afferrano,
né lingue mordaci e velenose, ma un cuore tranquillo in cui riposare le
orecchie dalle bestemmie del mondo? Un cuore tranquillo è il tabernacolo
preferito del mio Signore e mio Dio.
Cos’altro viene da
pensare, stando in adorazione del Santissimo Sacramento, Dio Vivo e
Vero?
Ad esempio, cosa Gli è costato, come ha pagato e quale
sia stata la strada che il Cristo ha dovuto percorrere per trovarsi lì,
anzi, per trovarsi qui: nunc et semper et in saecula, seculorum. “Sarò con
voi fino alla fine del mondo. Io non vi lascio!”
Deposto dalla
Croce tra le braccia di Sua Madre desolata, dopo aver ricevuto la lancia
nel cuore che glielo ha trafitto, già esanime, dopo le tre ore di agonia e
morte sulla Croce, aveva salito il Calvario, spinto, strattonato,
frustrato, sputato, offeso, calpestato, dolente. Coperto di sputi, sudore,
sangue e fango dappertutto da non trovarsi sul Suo Corpo un centimetro
ancora in cui farsi aprire altre piaghe. Avanzò a fatica sotto
quell’orrenda corona di spine, che i soldati gli tolsero e gli rimisero
sul capo per tre volte, fissandogliela ben bene nelle carni a colpi di
bastonate, che le spine Gli penetrarono fin dentro gli occhi. Che
compassione mostrò la Veronica, mentre Pietro, “la Sua Pietra”, Lo
rinnegava e tutti Lo avevano abbandonato, tranne Sua Madre a cui fu
impedito di avvicinarsi al Figlio, mentre nel cuore viveva ogni Suo
stento! Incurante del rischio di essere catturata dai soldati, di corsa la
Veronica si insinuò tra la folla crudele e festante che lì urlava, bramava
e plaudeva la Sua Crocifissione, per andare, inginocchiata ai suoi piedi,
ad asciugarGli il Volto Santissimo bagnato così tanto di Sangue da
riempirGli gli occhi fino al punto di non poter vedere dove poggiare i
Piedi.
Gli era costata anche la flagellazione: legato e
incatenato così stretto alla colonna, versò vivo sangue dalle dita e dai
polsi tumefatti. Tre coppie di soldati si dovettero alternare per lo
sfinimento prodotto dalle infinite battiture (oltre cinquemila) inflitte
su Quel Corpo con funi e flagelli, mentre l’Amore del Torturato non fu mai
stanco. Guardava con tanto amore i suoi carnefici che dovettero bendarLo
per non vedere la sfolgorante luce che promanava dai Suoi occhi, di fronte
alla quale si vergognarono di sé stessi, ma non fino al punto di
interrompere la carneficina.
Ma il dolore più grande, rispetto
al quale la Crocifissione fu un sollazzo, furono le tre ore di agonia
nell’Orto degli Ulivi. Egli, nel Getsemani, in una notte fredda, lugubre e
sinistra, che prometteva solo lacrime e morte, lì dove né corde, né spade,
né flagelli materiali lo colpirono, versò Sangue da tutta la Sua
Sacratissima Persona, e tanto fu il dolore che cadde inginocchiato a
terra, per lo sconforto.
Cosa produsse tanto dolore nel
Redentore in quella circostanza? Egli vide i peccati di tutti gli uomini,
di tutti i tempi e di tutte le generazioni: passate, presenti e future.
Crimini, omicidi, furti, inganni, oltraggi, suicidi, violenze, abusi,
ipocrisie, soprattutto del corpo religioso, ed ogni forma di marciume
spirituale e mentale umano. Egli assunse e visse su di Sé tutte le colpe,
tutte le pene, tutte le agonie e tutte le morti di tutte le creature e di
ciascuna creatura che nel tempo della storia umana, sarebbe stato dato
loro di esistere sulla faccia della terra. Se avessero dovuto costruire
una Croce da farGli portare sulle spalle proporzionata al peso dei peccati
della famiglia umana, i bracci orizzontali e verticali della Stessa non
sarebbero entrati dentro i confini dell’universo.
Come sarebbe
importante considerare ciò, prima di compiere un atto, prima di
pronunciare parole: esercitare il dominio di sé allo scopo di non ferire e
di piacere a Gesù farebbe tanto bene a noi e a Lui.
In quale
altro modo, si potrebbe ricompensare Gesù per l’amore smisurato che ha
mostrato per ciascuno di noi, evitandoci sul Santo patibolo la dannazione
eterna, se non ricambiare affettuosamente, costantemente e delicatamente
il Suo amore? Si è offerto Quale vittima di riparazione e nostra
giustificazione al Padre Nostro, che Egli ama completamente e
perfettamente. Il Mistero insondabile è come Gesù Cristo ami il Padre
Perfettissimo e noi vilissime creature allo stesso modo Quanto? Entrambi
più di Se Stesso.
Teniamo presente quindi nelle nostre
giornate, nelle nostre scelte, nei nostri pensieri, nei nostri desideri
che Gesù è la prima vittima dei nostri errori e il primo a gioire del più
piccolo atto che compissimo, anche e soprattutto contro la nostra
personale volontà per favorire la Sua Divina Volontà.
Raccogliere uno spillo, per amore, può servire a salvare un’anima (Santa Teresina di Lisieux). Quale anima?
Innanzitutto la propria.
Questa è la strada che Gesù ha percorso per farSi Ostia, dopo aver
trascorso in prigione l’ultima notte della Sua vita; dopo che in quella
notte fu gettato nelle acque putride del torrente Cedron; dopo essere
stato scaraventato dalle scale mentre Lo conducevano e riconducevano a
spintoni, dalla casa di Caifa, a quella di Erode, da Pilato e viceversa.
La porta stretta che ha attraversato per ridurSi umanamente ai minimi
termini, tanto da riuscire a consistere insieme alla Sua Divinità nel
minuscolo spazio di un’Ostia.
Nell’Ultima Cena del Giovedi
Santo, dopo aver lavato i piedi agli apostoli, cinto di bianca tovaglia e
inginocchiato a terra davanti a ciascuno di loro, Giuda compreso, i piedi
del quale lavò più con le lacrime che altro, mentre lo guardava
implorandolo di non perdere l’anima sua, in un atto di umiltà mai vista,
istituti’ il Sacramento dell’Eucarestia, creando Se Stesso dentro la
materia vilissima di poco pane e poco vino.
Riferisce Luisa
Piccarreta: «Vedo che prendi il pane fra le mani, l’offri al Padre e sento
la tua voce dolcissima che dice: “Padre Santo, grazie ti sian rese, ché
sempre esaudisci il Figlio tuo. Padre, concorri meco… permettimi che
m’incarni in ciascun’Ostia per continuare la salvezza di ciascuno dei miei
figli. Chi avrà cuore di lasciarli orfani e soli? Molti sono i loro
nemici, le tenebre, le passioni e le debolezze cui vanno soggetti. Chi li
aiuterà? dove andranno? (…) Non posso, né voglio lasciare i miei
figli”».
Il Padre s’intenerisce alla voce tenera ed affettuosa
del Figlio e scende dal cielo. È già sull’altare ed unito con lo Spirito
Santo concorre col Figlio. E Gesù, con voce sonora e commovente, pronunzia
le parole della consacrazione e senza lasciare Se Stesso crea Se Stesso in
quel pane e in quel vino. poi si comunica agli apostoli appoggiandogli
l’Ostia sulla lingua.
Tranne Giuda, nessun apostolo toccò il
Corpus Domini. Tu che afferri l’Ostia con le mani, chi sei? Pretendi forse
che al tuo segnale Dio venga a te, oppure ti ricordi che Dio è Colui che
si dona per primo e spontaneamente? Non c’è bisogno di afferrarlo, né di
forzarlo. C’è solo bisogno di essere in Grazia e di riceverLo prostrati.
Ecco, questo sì. Come è doveroso, infatti fare l’inchino di fronte ai
reali della terra, tanto più lo è inginocchiarsi a mani giunte di fronte
al Re dei Re.
Chi potrebbe mai enumerare la quantità di
sacrilegi che vengono compiuti nel mondo per il rischio che frammenti
invisibili di Ostia, cadendo a terra possano essere calpestati? Se una
lucerna non può essere messa sotto il moggio, possiamo mettere Dio sotto
le scarpe?
In chiesa non troverai scritto, quello che si vede
entrando nei negozi che vendono i preziosi gioielli e cristalli. Ma se ti
inginocchi al Suo cospetto, se vai ad adorarLo davanti al Tabernacolo, se
entri nella stanza del tuo cuore e chiudi la porta alle sirene del mondo,
lì sì che troverai scritto: “Non toccare il Corpo di Dio”. Provare per
credere.
Dio sia lodato, adorato e ringraziato in ogni momento
per l’eredità del Santissimo e Divinissimo Sacramento.
Santa
Solennità del Corpus Domini a tutti.
Veronica Cireneo
Co-fondatrice degli Alleati dell’Eucarestia e del
Vangelo
[qui]
10 giugno a.D. 2023
A chi è capitato nella vita di trovarsi al cospetto di Dio, quando
nella Sua Magnificenza sosta radioso sull’altare, osservando anime
inginocchiate pronte ad adorarLo, saprà quanta Grazia, che fasci di
luce, che momenti soavi promanano dall’Ostensorio, alla presenza di
Maria Santissima, Suo perpetuo grembo e permanente residenza, e alla
presenza degli angeli e dei santi che gli fanno corona tutt’intorno,
cantando unanimi lodi infinite al miracolo di Dio fatto Uomo in poca
vilissima materia: Lì c’è Dio.
Sappi che il tempo impiegato davanti al Santissimo, è il tempo che
più ti frutterà in questa vita, in morte e nell’eternità (Sant’Alfonso Maria de Liguori).
Rimanendo in stato di concentrazione, cosa che lo stare in ginocchio
agevola, potrebbe stare ore ed ore a domandarsi come possa essere che un
Dio, Creatore del cielo e della terra, che permea incessantemente tutte le
cose e tutte le creature col soffio del Suo Santo Spirito, lasciando ovunque
nel creato attestati d’amore, possa risiedere, consistere e ridursi alle
dimensioni di un’Ostia.
Un Dio così grande, contenuto nel minuscolo spazio di un’Ostia! E via via
che la domanda insinuandosi dalla mente in tutte le fibre dell’anima e del
corpo, si fa più insistente, pur permanendo nel mistero, diventa sempre
più retorica. Eh, sì: Dio è proprio lì. Il Paradiso in terra.
Allora
verrebbe quasi la voglia di piangere di stupore, pensando al motivo per
cui Dio si è fatto così piccolo; perché abbia voluto rendersi
permanentemente raggiungibile all’incontro con la Sua creatura.
Quale
pazienza e illimitato annichilimento Lo porta a desiderare di restare
imprigionato giorni e notti, nell’attesa di essere sprigionano dal
Tabernacolo, per imprigionarsi nello sguardo della creatura amante e
dentro il suo corpo, dove ambisce di trovare, non mani che Lo afferrano,
né lingue mordaci e velenose, ma un cuore tranquillo in cui riposare le
orecchie dalle bestemmie del mondo? Un cuore tranquillo è il tabernacolo
preferito del mio Signore e mio Dio.
Cos’altro viene da
pensare, stando in adorazione del Santissimo Sacramento, Dio Vivo e
Vero?
Ad esempio, cosa Gli è costato, come ha pagato e quale
sia stata la strada che il Cristo ha dovuto percorrere per trovarsi lì,
anzi, per trovarsi qui: nunc et semper et in saecula, seculorum. “Sarò con
voi fino alla fine del mondo. Io non vi lascio!”
Deposto dalla
Croce tra le braccia di Sua Madre desolata, dopo aver ricevuto la lancia
nel cuore che glielo ha trafitto, già esanime, dopo le tre ore di agonia e
morte sulla Croce, aveva salito il Calvario, spinto, strattonato,
frustrato, sputato, offeso, calpestato, dolente. Coperto di sputi, sudore,
sangue e fango dappertutto da non trovarsi sul Suo Corpo un centimetro
ancora in cui farsi aprire altre piaghe. Avanzò a fatica sotto
quell’orrenda corona di spine, che i soldati gli tolsero e gli rimisero
sul capo per tre volte, fissandogliela ben bene nelle carni a colpi di
bastonate, che le spine Gli penetrarono fin dentro gli occhi. Che
compassione mostrò la Veronica, mentre Pietro, “la Sua Pietra”, Lo
rinnegava e tutti Lo avevano abbandonato, tranne Sua Madre a cui fu
impedito di avvicinarsi al Figlio, mentre nel cuore viveva ogni Suo
stento! Incurante del rischio di essere catturata dai soldati, di corsa la
Veronica si insinuò tra la folla crudele e festante che lì urlava, bramava
e plaudeva la Sua Crocifissione, per andare, inginocchiata ai suoi piedi,
ad asciugarGli il Volto Santissimo bagnato così tanto di Sangue da
riempirGli gli occhi fino al punto di non poter vedere dove poggiare i
Piedi.
Gli era costata anche la flagellazione: legato e
incatenato così stretto alla colonna, versò vivo sangue dalle dita e dai
polsi tumefatti. Tre coppie di soldati si dovettero alternare per lo
sfinimento prodotto dalle infinite battiture (oltre cinquemila) inflitte
su Quel Corpo con funi e flagelli, mentre l’Amore del Torturato non fu mai
stanco. Guardava con tanto amore i suoi carnefici che dovettero bendarLo
per non vedere la sfolgorante luce che promanava dai Suoi occhi, di fronte
alla quale si vergognarono di sé stessi, ma non fino al punto di
interrompere la carneficina.
Ma il dolore più grande, rispetto
al quale la Crocifissione fu un sollazzo, furono le tre ore di agonia
nell’Orto degli Ulivi. Egli, nel Getsemani, in una notte fredda, lugubre e
sinistra, che prometteva solo lacrime e morte, lì dove né corde, né spade,
né flagelli materiali lo colpirono, versò Sangue da tutta la Sua
Sacratissima Persona, e tanto fu il dolore che cadde inginocchiato a
terra, per lo sconforto.
Cosa produsse tanto dolore nel
Redentore in quella circostanza? Egli vide i peccati di tutti gli uomini,
di tutti i tempi e di tutte le generazioni: passate, presenti e future.
Crimini, omicidi, furti, inganni, oltraggi, suicidi, violenze, abusi,
ipocrisie, soprattutto del corpo religioso, ed ogni forma di marciume
spirituale e mentale umano. Egli assunse e visse su di Sé tutte le colpe,
tutte le pene, tutte le agonie e tutte le morti di tutte le creature e di
ciascuna creatura che nel tempo della storia umana, sarebbe stato dato
loro di esistere sulla faccia della terra. Se avessero dovuto costruire
una Croce da farGli portare sulle spalle proporzionata al peso dei peccati
della famiglia umana, i bracci orizzontali e verticali della Stessa non
sarebbero entrati dentro i confini dell’universo.
Come sarebbe
importante considerare ciò, prima di compiere un atto, prima di
pronunciare parole: esercitare il dominio di sé allo scopo di non ferire e
di piacere a Gesù farebbe tanto bene a noi e a Lui.
In quale
altro modo, si potrebbe ricompensare Gesù per l’amore smisurato che ha
mostrato per ciascuno di noi, evitandoci sul Santo patibolo la dannazione
eterna, se non ricambiare affettuosamente, costantemente e delicatamente
il Suo amore? Si è offerto Quale vittima di riparazione e nostra
giustificazione al Padre Nostro, che Egli ama completamente e
perfettamente. Il Mistero insondabile è come Gesù Cristo ami il Padre
Perfettissimo e noi vilissime creature allo stesso modo Quanto? Entrambi
più di Se Stesso.
Teniamo presente quindi nelle nostre
giornate, nelle nostre scelte, nei nostri pensieri, nei nostri desideri
che Gesù è la prima vittima dei nostri errori e il primo a gioire del più
piccolo atto che compissimo, anche e soprattutto contro la nostra
personale volontà per favorire la Sua Divina Volontà.
Raccogliere uno spillo, per amore, può servire a salvare un’anima (Santa Teresina di Lisieux). Quale anima?
Innanzitutto la propria.
Questa è la strada che Gesù ha percorso per farSi Ostia, dopo aver
trascorso in prigione l’ultima notte della Sua vita; dopo che in quella
notte fu gettato nelle acque putride del torrente Cedron; dopo essere
stato scaraventato dalle scale mentre Lo conducevano e riconducevano a
spintoni, dalla casa di Caifa, a quella di Erode, da Pilato e viceversa.
La porta stretta che ha attraversato per ridurSi umanamente ai minimi
termini, tanto da riuscire a consistere insieme alla Sua Divinità nel
minuscolo spazio di un’Ostia.
Nell’Ultima Cena del Giovedi
Santo, dopo aver lavato i piedi agli apostoli, cinto di bianca tovaglia e
inginocchiato a terra davanti a ciascuno di loro, Giuda compreso, i piedi
del quale lavò più con le lacrime che altro, mentre lo guardava
implorandolo di non perdere l’anima sua, in un atto di umiltà mai vista,
istituti’ il Sacramento dell’Eucarestia, creando Se Stesso dentro la
materia vilissima di poco pane e poco vino.
Riferisce Luisa
Piccarreta: «Vedo che prendi il pane fra le mani, l’offri al Padre e sento
la tua voce dolcissima che dice: “Padre Santo, grazie ti sian rese, ché
sempre esaudisci il Figlio tuo. Padre, concorri meco… permettimi che
m’incarni in ciascun’Ostia per continuare la salvezza di ciascuno dei miei
figli. Chi avrà cuore di lasciarli orfani e soli? Molti sono i loro
nemici, le tenebre, le passioni e le debolezze cui vanno soggetti. Chi li
aiuterà? dove andranno? (…) Non posso, né voglio lasciare i miei
figli”».
Il Padre s’intenerisce alla voce tenera ed affettuosa
del Figlio e scende dal cielo. È già sull’altare ed unito con lo Spirito
Santo concorre col Figlio. E Gesù, con voce sonora e commovente, pronunzia
le parole della consacrazione e senza lasciare Se Stesso crea Se Stesso in
quel pane e in quel vino. poi si comunica agli apostoli appoggiandogli
l’Ostia sulla lingua.
Tranne Giuda, nessun apostolo toccò il
Corpus Domini. Tu che afferri l’Ostia con le mani, chi sei? Pretendi forse
che al tuo segnale Dio venga a te, oppure ti ricordi che Dio è Colui che
si dona per primo e spontaneamente? Non c’è bisogno di afferrarlo, né di
forzarlo. C’è solo bisogno di essere in Grazia e di riceverLo prostrati.
Ecco, questo sì. Come è doveroso, infatti fare l’inchino di fronte ai
reali della terra, tanto più lo è inginocchiarsi a mani giunte di fronte
al Re dei Re.
Chi potrebbe mai enumerare la quantità di
sacrilegi che vengono compiuti nel mondo per il rischio che frammenti
invisibili di Ostia, cadendo a terra possano essere calpestati? Se una
lucerna non può essere messa sotto il moggio, possiamo mettere Dio sotto
le scarpe?
In chiesa non troverai scritto, quello che si vede
entrando nei negozi che vendono i preziosi gioielli e cristalli. Ma se ti
inginocchi al Suo cospetto, se vai ad adorarLo davanti al Tabernacolo, se
entri nella stanza del tuo cuore e chiudi la porta alle sirene del mondo,
lì sì che troverai scritto: “Non toccare il Corpo di Dio”. Provare per
credere.
Dio sia lodato, adorato e ringraziato in ogni momento
per l’eredità del Santissimo e Divinissimo Sacramento.
Santa
Solennità del Corpus Domini a tutti.
Veronica Cireneo
Co-fondatrice degli Alleati dell’Eucarestia e del
Vangelo
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