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sabato 10 giugno 2023

L’Ostia: Testamento divino ed eredità umana

A chi è capitato nella vita di trovarsi al cospetto di Dio, quando nella Sua Magnificenza sosta radioso sull’altare, osservando anime inginocchiate pronte ad adorarLo, saprà quanta Grazia, che fasci di luce, che momenti soavi promanano dall’Ostensorio, alla presenza di Maria Santissima, Suo perpetuo grembo e permanente residenza, e alla presenza degli angeli e dei santi che gli fanno corona tutt’intorno, cantando unanimi lodi infinite al miracolo di Dio fatto Uomo in poca vilissima materia: Lì c’è Dio.

Sappi che il tempo impiegato davanti al Santissimo, è il tempo che più ti frutterà in questa vita, in morte e nell’eternità (Sant’Alfonso Maria de Liguori).
Rimanendo in stato di concentrazione, cosa che lo stare in ginocchio agevola, potrebbe stare ore ed ore a domandarsi come possa essere che un Dio, Creatore del cielo e della terra, che permea incessantemente tutte le cose e tutte le creature col soffio del Suo Santo Spirito, lasciando ovunque nel creato attestati d’amore, possa risiedere, consistere e ridursi alle dimensioni di un’Ostia.
Un Dio così grande, contenuto nel minuscolo spazio di un’Ostia! E via via che la domanda insinuandosi dalla mente in tutte le fibre dell’anima e del corpo, si fa più insistente, pur permanendo nel mistero, diventa sempre più retorica. Eh, sì: Dio è proprio lì. Il Paradiso in terra.

Allora verrebbe quasi la voglia di piangere di stupore, pensando al motivo per cui Dio si è fatto così piccolo; perché abbia voluto rendersi permanentemente raggiungibile all’incontro con la Sua creatura.

Quale pazienza e illimitato annichilimento Lo porta a desiderare di restare imprigionato giorni e notti, nell’attesa di essere sprigionano dal Tabernacolo, per imprigionarsi nello sguardo della creatura amante e dentro il suo corpo, dove ambisce di trovare, non mani che Lo afferrano, né lingue mordaci e velenose, ma un cuore tranquillo in cui riposare le orecchie dalle bestemmie del mondo? Un cuore tranquillo è il tabernacolo preferito del mio Signore e mio Dio.

Cos’altro viene da pensare, stando in adorazione del Santissimo Sacramento, Dio Vivo e Vero?

Ad esempio, cosa Gli è costato, come ha pagato e quale sia stata la strada che il Cristo ha dovuto percorrere per trovarsi lì, anzi, per trovarsi qui: nunc et semper et in saecula, seculorum. “Sarò con voi fino alla fine del mondo. Io non vi lascio!”

Deposto dalla Croce tra le braccia di Sua Madre desolata, dopo aver ricevuto la lancia nel cuore che glielo ha trafitto, già esanime, dopo le tre ore di agonia e morte sulla Croce, aveva salito il Calvario, spinto, strattonato, frustrato, sputato, offeso, calpestato, dolente. Coperto di sputi, sudore, sangue e fango dappertutto da non trovarsi sul Suo Corpo un centimetro ancora in cui farsi aprire altre piaghe. Avanzò a fatica sotto quell’orrenda corona di spine, che i soldati gli tolsero e gli rimisero sul capo per tre volte, fissandogliela ben bene nelle carni a colpi di bastonate, che le spine Gli penetrarono fin dentro gli occhi. Che compassione mostrò la Veronica, mentre Pietro, “la Sua Pietra”, Lo rinnegava e tutti Lo avevano abbandonato, tranne Sua Madre a cui fu impedito di avvicinarsi al Figlio, mentre nel cuore viveva ogni Suo stento! Incurante del rischio di essere catturata dai soldati, di corsa la Veronica si insinuò tra la folla crudele e festante che lì urlava, bramava e plaudeva la Sua Crocifissione, per andare, inginocchiata ai suoi piedi, ad asciugarGli il Volto Santissimo bagnato così tanto di Sangue da riempirGli gli occhi fino al punto di non poter vedere dove poggiare i Piedi.

Gli era costata anche la flagellazione: legato e incatenato così stretto alla colonna, versò vivo sangue dalle dita e dai polsi tumefatti. Tre coppie di soldati si dovettero alternare per lo sfinimento prodotto dalle infinite battiture (oltre cinquemila) inflitte su Quel Corpo con funi e flagelli, mentre l’Amore del Torturato non fu mai stanco. Guardava con tanto amore i suoi carnefici che dovettero bendarLo per non vedere la sfolgorante luce che promanava dai Suoi occhi, di fronte alla quale si vergognarono di sé stessi, ma non fino al punto di interrompere la carneficina.

Ma il dolore più grande, rispetto al quale la Crocifissione fu un sollazzo, furono le tre ore di agonia nell’Orto degli Ulivi. Egli, nel Getsemani, in una notte fredda, lugubre e sinistra, che prometteva solo lacrime e morte, lì dove né corde, né spade, né flagelli materiali lo colpirono, versò Sangue da tutta la Sua Sacratissima Persona, e tanto fu il dolore che cadde inginocchiato a terra, per lo sconforto.

Cosa produsse tanto dolore nel Redentore in quella circostanza? Egli vide i peccati di tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutte le generazioni: passate, presenti e future. Crimini, omicidi, furti, inganni, oltraggi, suicidi, violenze, abusi, ipocrisie, soprattutto del corpo religioso, ed ogni forma di marciume spirituale e mentale umano. Egli assunse e visse su di Sé tutte le colpe, tutte le pene, tutte le agonie e tutte le morti di tutte le creature e di ciascuna creatura che nel tempo della storia umana, sarebbe stato dato loro di esistere sulla faccia della terra. Se avessero dovuto costruire una Croce da farGli portare sulle spalle proporzionata al peso dei peccati della famiglia umana, i bracci orizzontali e verticali della Stessa non sarebbero entrati dentro i confini dell’universo.

Come sarebbe importante considerare ciò, prima di compiere un atto, prima di pronunciare parole: esercitare il dominio di sé allo scopo di non ferire e di piacere a Gesù farebbe tanto bene a noi e a Lui.

In quale altro modo, si potrebbe ricompensare Gesù per l’amore smisurato che ha mostrato per ciascuno di noi, evitandoci sul Santo patibolo la dannazione eterna, se non ricambiare affettuosamente, costantemente e delicatamente il Suo amore? Si è offerto Quale vittima di riparazione e nostra giustificazione al Padre Nostro, che Egli ama completamente e perfettamente. Il Mistero insondabile è come Gesù Cristo ami il Padre Perfettissimo e noi vilissime creature allo stesso modo Quanto? Entrambi più di Se Stesso.

Teniamo presente quindi nelle nostre giornate, nelle nostre scelte, nei nostri pensieri, nei nostri desideri che Gesù è la prima vittima dei nostri errori e il primo a gioire del più piccolo atto che compissimo, anche e soprattutto contro la nostra personale volontà per favorire la Sua Divina Volontà.

Raccogliere uno spillo, per amore, può servire a salvare un’anima (Santa Teresina di Lisieux). Quale anima? Innanzitutto la propria.

Questa è la strada che Gesù ha percorso per farSi Ostia, dopo aver trascorso in prigione l’ultima notte della Sua vita; dopo che in quella notte fu gettato nelle acque putride del torrente Cedron; dopo essere stato scaraventato dalle scale mentre Lo conducevano e riconducevano a spintoni, dalla casa di Caifa, a quella di Erode, da Pilato e viceversa. La porta stretta che ha attraversato per ridurSi umanamente ai minimi termini, tanto da riuscire a consistere insieme alla Sua Divinità nel minuscolo spazio di un’Ostia.

Nell’Ultima Cena del Giovedi Santo, dopo aver lavato i piedi agli apostoli, cinto di bianca tovaglia e inginocchiato a terra davanti a ciascuno di loro, Giuda compreso, i piedi del quale lavò più con le lacrime che altro, mentre lo guardava implorandolo di non perdere l’anima sua, in un atto di umiltà mai vista, istituti’ il Sacramento dell’Eucarestia, creando Se Stesso dentro la materia vilissima di poco pane e poco vino.

Riferisce Luisa Piccarreta: «Vedo che prendi il pane fra le mani, l’offri al Padre e sento la tua voce dolcissima che dice: “Padre Santo, grazie ti sian rese, ché sempre esaudisci il Figlio tuo. Padre, concorri meco… permettimi che m’incarni in ciascun’Ostia per continuare la salvezza di ciascuno dei miei figli. Chi avrà cuore di lasciarli orfani e soli? Molti sono i loro nemici, le tenebre, le passioni e le debolezze cui vanno soggetti. Chi li aiuterà? dove andranno? (…) Non posso, né voglio lasciare i miei figli”».

Il Padre s’intenerisce alla voce tenera ed affettuosa del Figlio e scende dal cielo. È già sull’altare ed unito con lo Spirito Santo concorre col Figlio. E Gesù, con voce sonora e commovente, pronunzia le parole della consacrazione e senza lasciare Se Stesso crea Se Stesso in quel pane e in quel vino. poi si comunica agli apostoli appoggiandogli l’Ostia sulla lingua.

Tranne Giuda, nessun apostolo toccò il Corpus Domini. Tu che afferri l’Ostia con le mani, chi sei? Pretendi forse che al tuo segnale Dio venga a te, oppure ti ricordi che Dio è Colui che si dona per primo e spontaneamente? Non c’è bisogno di afferrarlo, né di forzarlo. C’è solo bisogno di essere in Grazia e di riceverLo prostrati. Ecco, questo sì. Come è doveroso, infatti fare l’inchino di fronte ai reali della terra, tanto più lo è inginocchiarsi a mani giunte di fronte al Re dei Re.

Chi potrebbe mai enumerare la quantità di sacrilegi che vengono compiuti nel mondo per il rischio che frammenti invisibili di Ostia, cadendo a terra possano essere calpestati? Se una lucerna non può essere messa sotto il moggio, possiamo mettere Dio sotto le scarpe?

In chiesa non troverai scritto, quello che si vede entrando nei negozi che vendono i preziosi gioielli e cristalli. Ma se ti inginocchi al Suo cospetto, se vai ad adorarLo davanti al Tabernacolo, se entri nella stanza del tuo cuore e chiudi la porta alle sirene del mondo, lì sì che troverai scritto: “Non toccare il Corpo di Dio”. Provare per credere.

Dio sia lodato, adorato e ringraziato in ogni momento per l’eredità del Santissimo e Divinissimo Sacramento.

Santa Solennità del Corpus Domini a tutti.


Veronica Cireneo
Co-fondatrice degli Alleati dell’Eucarestia e del Vangelo [qui]
10 giugno a.D. 2023

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